di Roxie Rivera
Traduzione: Eleonora Morrea
Editing: Angela White
Cover by: Cora Graphics
Scarica ebook in formato ZIP QUI!
Contiene file MOBI per Kindle e file EPUB per altri dispositivi/smartphone
― Sei proprio sicura di volerci andare da sola?
Smisi di rovistare nella borsa e gettai uno sguardo a Ivan che mi studiava con attenzione, seduto al volante del suo SUV. In quel momento ci trovavamo nel parcheggio del carcere dove mia sorella scontava la detenzione per i crimini commessi a causa della sua tossicodipendenza.
― Non proprio.
Lui allungò una mano per accarezzarmi la guancia. ― Non mi dispiacerebbe accompagnarti.
Lo disse con una tale convinzione che chiunque avrebbe creduto alle sue parole, ma io non ero così ingenua. Gli sarebbe dispiaciuto, eccome. Carceri e stazioni di polizia erano in cima alla lista dei luoghi che lui evitava a tutti i costi. Rappresentavano il ricordo terribile di un passato criminale che Ivan si era lasciato definitivamente alle spalle.
Però per me, avrebbe sopportato comunque il disagio e l’ansia.
E io lo amavo ancora di più per questo.
Mi voltai per baciargli il palmo. ― Andrà tutto bene.
Con il pollice lui tracciò il contorno delle mie labbra. ― Non permetterle di trattarti male, Erin.
― Non succederà.
― Non mi piace ciò che sto per dirti. ― La mascella si irrigidì per il rimorso. ― So quanto vuoi bene a tua sorella, ma non riesco a sopportare l’idea di stare seduto qui ad aspettarti, mentre lei ti aggredisce.
Mi irrigidì per come aveva descritto il rapporto burrascoso con mia sorella.― Aggredire è una parola grossa, Ivan.
Le sopracciglia si incurvarono imperiose. ― E come definiresti il modo in cui ti ha urlato contro in ospedale, lanciandoti oggetti addosso? Ti ha sempre manipolato per trascinarti nei suoi debiti dovuti alla droga.
― Be’…
La mano grande e forte di Ivan scivolò sulla mia nuca. Gentilmente mi forzò a incontrare il suo sguardo intenso. ― Tu meriti di essere trattata con rispetto. Da chiunque. Inclusa tua sorella.
Da quando era entrato nella mia vita, Ivan mi aveva spinto a tirare fuori il carattere quando si trattava di mia sorella, ed era riuscito dove molti avevano fallito. Lasciare che Ruby andasse in carcere per i suoi crimini era stata la cosa più dura al mondo che mi fosse capitata, ma alla fine avevo capito che dovevo smettere di coprirla. Ruby avrebbe potuto rifarsi una vita solo se io avessi smesso di ripulire i suoi pasticci e proteggerla dalle conseguenze delle sue azioni.
― Ti ho fatto arrabbiare?
Scossi la testa e la sue espressione tesa si addolcì. ― So che tu vuoi solo ciò che è meglio per me.
― Sempre, angel moy. ― Fece un sorriso sbilenco. ― Ma se mi vuoi rimproverare perché sono troppo autoritario, fai pure.
Mi sporsi per baciarlo. ― Forse più tardi.
Ridendo, lui mi fece scivolare tra le sue braccia incredibilmente muscolose e mi trasse a sé per approfondire il bacio. Anche se avevamo fatto l’amore quella mattina stessa, prima che lui andasse a lavorare, Ivan mi baciò come se non avesse assaggiato la mia bocca da settimane. Non c’era modo di resistere all’urgenza delle sue labbra. Tutto quello che potevo fare era aggrapparmi a lui e arrendermi all’invasione della sua lingua.
Proprio quando il bacio si fece ancora più intenso, Ivan si ritrasse, limitandosi a mordicchiarmi il labbro inferiore prima di staccarsi definitivamente.
― Faresti meglio ad andare, altrimenti ti getto sul sedile posteriore e ti puoi dimenticare la visita programmata a tua sorella.
Senza fiato e palpitante di desiderio, gli diedi un pugno scherzoso sulla spalla. ― Lo hai fatto apposta! Mi hai eccitata e ora ti vuoi liberare di me.
― Ti sto dando qualcosa di piacevole a cui pensare ― le disse con un sorriso malizioso.
― Uh-uh― replicai seccamente. Dopo un rapido tocco delle mie labbra, mi sporsi per ripulire la bocca di Ivan dalle tracce di rossetto. ― Non sei carino come me con il rossetto.
Lui rise dolcemente. Poi si fece più serio e mi accarezzò una gamba. ― Stai attenta lì dentro. Stai per entrare in un edificio pieno di criminali.
Avrei voluto prendermi gioco della sua preoccupazione, ma mi resi conto che lui aveva visto cose in carcere che io non potevo nemmeno immaginare. ― Starò molto attenta.
Dopo essermi assicurata che la mia borsetta non contenesse articoli proibiti dal regolamento penitenziario, scesi dal SUV e attraversai il parcheggio. C’era già un piccolo gruppo di visitatori che si stavano registrando all’ingresso. La vista dei bambini piccoli in compagnia dalle nonne, in attesa di far visita alle loro mamme mi rattristò molto. Mi fece pensare a Vivian e Lena e al modo in cui i loro padri erano entrati e usciti dalle prigioni durante la maggior parte della loro infanzia.
Mentre scendevo verso la sala per il check-in dei visitatori, tirai fuori dalla borsa il mio portafoglio con il documento di riconoscimento, senza prestare attenzione a dove mettevo i piedi. Due braccia forti mi afferrarono prima che potessi cadere dentro una fontana. Rimasi per un attimo senza fiato e mi ritrovai a guardare gli occhi sorridenti del detective Eric Santos. ― Oh, salve!
― Faresti meglio a guardare dove vai, Erin. Stavi per finire a bagno.
― Grazie per avermi salvato da una figura davvero imbarazzante.
― Rientra tutto nel mio giuramento di servire e proteggere ― mi disse con una risata. Poi il sorriso si spense. ―Sei qui per vedere tua sorella?
Annuii. ― Volevo incontrarla la scorsa settimana, ma Ruby ha avuto qualche problema e non le hanno permesso di ricevere visite. Tu sei qui per vedere qualcuno?
Lui scosse la testa. ― Sono in veste ufficiale.
― Ah.
Eric mi strinse una spalla. ― Non ti trattengo oltre. Buona fortuna.
― Grazie.
Ancora con il sorriso sulle labbra e confusa dal mio incontro con il detective, feci il mio ingresso nella postazione di check-in. Gli agenti di turno fecero di tutto per rendere l’esperienza il più indolore possibile, ma era comunque tutto molto snervante. Quando ricevetti l’autorizzazione, sistemai la mia borsa in un armadietto. Mi fecero entrare in una stanza che ricordava molto la caffetteria di un liceo. C’erano dei tavolini rotondi a cui erano fissate delle panchine di metallo. Immaginavo che non fossero disponibili delle sedie, in quanto avrebbero potuto essere utilizzate come armi.
Trovai posto vicino a una finestra ricoperta da grate e rimasi in attesa di Ruby. Quando si aprì la porta dall’altra parte della sala, allungai la testa. Ruby era l’ultima della fila di detenute che stavano entrando nella stanza.
Nell’istante in cui vidi la sua faccia, ansimai e mi portai la mano alla bocca. Mia sorella sfoggiava un occhio nero con la pelle tutta intorno gonfia e di un brutto colore violaceo. Dei graffi le segnavano la guancia destra. Sembrava fosse stata coinvolta in uno scontro furioso e ne fui terrorizzata. Dovetti sforzarmi per rimanere seduta al mio posto invece di correre attraverso la stanza e abbracciarla.
Cosa diavolo succedeva in quel posto? Mi era stato detto che l’isolamento stile ospedaliero della sezione riabilitativa ne faceva una delle aree più sicure del carcere, ma probabilmente ero stata informata male.
― Cosa è accaduto? ― le chiesi con urgenza, il tono inorridito, non appena lei prese posto davanti a me. Mi sporsi e afferrai le sue mani gelide. ― Ruby, stai bene?
― Ti sembra che stia bene, cazzo? ― La replica le uscì come un sibilo e attirò l’attenzione dei familiari in visita seduti vicino a noi. ― Mi hanno pestato per causa tua.
― Per colpa mia? ― Mi ritrassi scioccata. ― Che cosa ho fatto?
― Sei tu quella che si è rifiutata di pagarmi la cauzione, ― ringhiò lei. ― Se vengo uccisa qui dentro, è tutta colpa tua.
Il rimorso si impadronì di me mentre fissavo il suo viso malconcio. Ripensai a tutte le bellissime cose che avevo vissuto insieme a Ivan negli ultimi due mesi. Mentre io me ne stavo rannicchiata sul divano, stretta fra le braccia di Ivan o mi rotolavo fra le lenzuola per fare l’amore con lui, la mia povera sorella stava in carcere a combattere per la sua stessa vita, perché io non avevo pagato la cauzione.
La voce preoccupata di Ivan mi risuonò nella testa. Ricordai il suo consiglio e presi un respiro profondo. Come al solito, ero stata di nuovo sul punto di scusarmi e farmi carico di tutte le responsabilità. Ma non ero stata io quella che aveva abusato delle droghe.
E non ero stata io quella che aveva derubato due delle gang di più pericolose della città, scatenando quasi una guerra. Non ero stata io a scappare dall’ospedale e scassinare una farmacia, alla disperata ricerca di una dose.
― Mi dispiace, Ruby.
― E fai bene a essere dispiaciuta ― strattonò via la sua mano dalle mie. ― Io non appartengo a questo posto. Queste donne sono degli animali.
Cercai nuovamente di avvicinarmi e lei mi permise di riprenderle la mano, ma continuò guardarmi di traverso. ― Non mi fa piacere che tu sia qui. Mi preoccupo molto per te, ma non ti ci ho messa io qui dentro.
Ruby cercò di ritrarsi, ma io non lo permisi. Sogghignando mi chiese: ― Dov’è adesso il tuo stupido gigante russo?
L’irritazione si insinuò nella mia voce. ― Intendi quello che paga i conti del tuo avvocato? Quello che ti ha salvato la vita? Quello che ha impedito che venissi uccisa da due gang criminali? Ti riferisci a lui?
Con la mascella serrata, Ruby sfuggì il mio sguardo. Cercai di leggere il suo atteggiamento, di capire cosa le passava per la testa, ma era impossibile. Invece, le spiegai: ― Mi sta aspettando fuori.
― Deve essere bello ― mi disse, la voce all’improvviso roca. Una lacrima le rigò la guancia.
Soffrendo per lei, le accarezzai un braccio. ― Mi dispiace molto che tu abbia perso Andrei. Non posso nemmeno immaginare come tu ti senta adesso.
Non volevo nemmeno pensare di poter perdere Ivan nello stesso modo in cui lei aveva perso il suo ragazzo. Certo, Andrei era un tossico e un ladro, e l’aveva trascinata in un casino che lei nemmeno comprendeva, ma in un loro modo folle si erano amati.
― È stata colpa mia. ― La sua voce risuonò poco più di un sussurro. ― Voleva offrirmi cose belle, una vita migliore. Non conosceva altro modo per farlo. ― Si asciugò il viso. ― Non ti rendi conto di quanto i tuoi sogni possano essere stupidi e impossibili da realizzare finché sei fatta dalle droghe.
No, pensai tristemente. Probabilmente non te ne rendi conto.
Dopo alcuni secondi di silenzio, lei si schiarì la gola. ― Allora… cosa succede adesso per la casa di mamma e papà?
― Ho un appuntamento la prossima settimana con un agente immobiliare. Ivan ha un amico che possiede un’impresa edile che si sta occupando di ristrutturarla. Ci sono stati alcuni danni da quando tu eri… vivevi lì.
― Oh. Giusto. ― Arrossì per l’imbarazzo. ― A proposito di quello…
Scossi la testa. ― Non vale la pena parlarne, Ruby.
In realtà, non volevo affrontare il discorso proprio lì, dove ero sicura che le conversazioni venivano registrate. Dopo che lei era stata arrestata per essersi intrufolata nella farmacia, avevo seguito le sue tracce fino alla casa che avevamo ereditato dai nostri genitori.
All’interno, Ivan aveva scoperto cumuli di merce rubata, armi e droga, sottratta alle due gang che ci volevano morte. Ivan aveva usato i suoi contatti con il mondo criminale per restituire la refurtiva e stipulare una tregua che contemplasse la protezione mia e di mia sorella. Non avevo nessuna intenzione di tirare fuori tutta quella storia ancora una volta, soprattutto se ciò avesse messo in pericolo Ivan.
― Cosa succede alla mia parte?
― Finisce in un conto corrente fino a quando non torni a casa.
― Tornare a casa? E dov’è adesso casa per me?
― Be’… ― Onestamente, non sapevo come risponderle.
― Non prendiamoci per il culo, Erin. Non c’è modo che Ivan mi permetta di trasferirmi da voi.
― No, infatti. ― Potevo immaginare la faccia che avrebbe fatto se gli avessi chiesto di accogliere in casa anche mia sorella. Ci sono tante cose che Ivan avrebbe fatto per me, ma quella era una linea che nemmeno lui avrebbe voluto superare. ― Senti, troveremo una soluzione.
― Cavoli, ho un sacco di tempo. ― Prese il braccialetto identificativo che aveva intorno al polso. ― Dovranno trascorrere almeno altri dieci mesi prima che prendano in considerazione di farmi uscire.
Le picchiettai la mano per avere la sua attenzione. ― Come va con la disintossicazione? Ti senti meglio?
Ruby scrollò le spalle. ― Suppongo di sì.
Considerando che Ruby si era fatta di pillole medicinali per anni, mi chiesi se si ricordava come ci si sentiva con una mente lucida e in salute. ― Ti vedo meglio. Cioè, eccetto, sì dai, per i lividi.
― Davvero?
Annuii. ― La tua pelle si sta schiarendo ma non è più pallida e gessosa. Si vede la differenza,
Lei scrollò le spalle ancora una volta. ― Suppongo di sì.
Le strinsi la mano. ― Ruby, so che è dura. Non posso nemmeno immaginare cosa stai provando, ma io sono così dannatamente orgogliosa di te.
― Già. ― La sua risposta cupa mi rattristò e capii che ora lei si trovava in una situazione difficile.
― Davvero torni a scuola a settembre?
Annuii. ― Non ero molto sicura a ridosso della scadenza del semestre autunnale. Ma poi mi sono decisa, così ho preparato le carte. Ho dovuto chiedere al mio tutor di dipartimento di mettere una buona parola, e ho trovato un posto.
― È.. è lui che sta pagando la retta? ― Ruby non si sforzò di nascondere il dispiacere nella voce.
Non erano certo affari suoi, ma io risposi comunque. ― No, avevo abbastanza risparmi per questo primo semestre e comunque ho inoltrato la domanda per la sovvenzione agli studi, in modo da coprire anche quello primaverile.
Lei emise un suono di scherno. ― Ma ti mantiene.
― Be’… viviamo insieme.
― Deve essere bello.
Mi morsi la lingua. Fino a quel momento l’incontro era andato bene e non volevo abboccare all’esca. Non avevo intenzione di discutere con lei.
Cambiando argomento, le chiesi: ― Hai bisogno che ti versi altri soldi sul conto?
― Sì, per favore ― rispose con gentilezza.
― Certamente. Mi fermerò al bancomat che si trova nell’atrio e ti verserò i soldi.
― Grazie.
― Cinque minuti! ― annunciò una delle guardie.
Non riuscivo a credere che il tempo fosse già scaduto. Entrambe avevamo già le lacrime agli occhi mentre ci stringevamo le mani. Non sapevo per quanto tempo Ruby sarebbe rimasta nel programma di disintossicazione. Quando l’avevano trasferita nell’area dei detenuti comuni, non le era stato consentito ricevere visite. Non volevo nemmeno pensare all’idea di un pannello di vetro tra noi, così le strinsi forte la mano, nel caso questa fosse stata l’ultima volta che ci saremmo potute toccare.
Quando giunse il momento di andare via, ci separammo con riluttanza. Mi asciugai gli occhi e poi mi diressi lungo il corridoio, verso l’armadietto che conteneva le mie cose. Dopo aver raccolto la borsa, restituii la chiave e il pass per le visite. Poi mi misi in fila allo sportello del bancomat, per depositare del denaro contante sul conto corrente per detenuti di mia sorella, in modo che Ruby si potesse comprare articoli di prima necessità e snack.
Una volta fuori, in quel pomeriggio assolato, andai verso il marciapiede per allontanarmi dalla ressa di visitatori che quel giorno affollavano il carcere. Aprii la borsa alla ricerca degli occhiali da sole.
― Ma io ti conosco?
Ignorai la roca voce maschile, pensando che si stesse rivolgendo a qualcun altro.
― Ehi, sei la sorella di quella ladra tossica, vero? Quella che ha fatto uccidere Andrei.
Alzai lo sguardo verso il viso di quell’uomo. Lo ricordavo vagamente, poi all’improvviso capii. Lo avevo incontrato quando, alla ricerca di Ruby, ero entrata in quella casa di drogati dove mi sono trovata per la prima volta faccia a faccia con gli albanesi. La casa dove Ivan mi aveva salvato, dicendo che ero sua.
Indietreggiai nervosa. ― Non so di cosa tu stia parlando.
― Sì, certo, come no ― disse il tipo con una risata dura. ― Ma davvero pensi di stare qui a dirmi che non ti ricordi un cazzo di quel covo di tossici di merda, mentre tua sorella faceva le marchette per Andrei per comprarsi la roba? Vuoi dirmi davvero che non sapevi nulla della droga e dei soldi che tua sorella ci ha rubato?
Deglutii e feci un altro passo indietro. ― Senti, io non voglio problemi.
― È un po’ troppo tardi per questo. Tua sorella e Andrei hanno cercato di fotterci. ― Mi fissò, poi la sua lingua sfiorò il labbro superiore. ― Potresti prendere esempio da tua sorella e farmi qualche favore per rimettere tutto a posto.
Prima che potessi anche solo meditare una replica alla sua disgustosa richiesta, una mano tatuata, sfregiata dalle cicatrici afferrò la spalla del tizio che sbarrò gli occhi nel ritrovarsi di fronte il mio fidanzato russo.
Ivan sbatté il petto contro quello del mio molestatore e lo spinse indietro di qualche metro. Era sempre dolce e gentile nei miei confronti, ma non mi facevo illusioni sulla bestia feroce che albergava dentro di lui: non si era guadagnato la reputazione di campione di boxe a mani nude per via dei suoi modi carini, e il tizio lo sapeva.
Sibilando in quella che presumevo fosse lingua albanese, Ivan fece impallidire il tipo, che rigido alzò entrambi le mani, cercando di arretrare. Ma lui lo trattenne per un lembo della sua camicia. Ringhiò altre parole, sebbene io fui in grado di cogliere solo il nome di Besian, il boss della mafia albanese che aveva risparmiato la vita a me e mia sorella, dopo l’accordo stretto con Ivan.
Con il dito puntato in faccia al tizio, Ivan lo spintonò via rudemente, lasciandolo andare. Il malvivente barcollò all’indietro cercando riparo e l’istante dopo il mio fidanzato se ne uscì con una parolaccia molto, molto brutta. Se non fossimo stati all’ingresso di un carcere, probabilmente Ivan gli avrebbe sputato addosso o lo avrebbe preso a pugni. Era davvero arrabbiato.
Mentre il coglione correva in direzione della macchina, Ivan si girò di scatto nella mia direzione. Immediatamente la rabbia che gli deformava i lineamenti sparì. Mi trasse vicina a sé. Poi mi avvolse la mano intorno al collo, mentre mi scrutava preoccupato. ― Angelo, stai bene? Ti ha fatto del male?
― Sto bene. ― Feci scivolare le mani intorno alla sua vita e premetti la guancia sul suo petto solido. Il battito rassicurante del suo cuore calmò i miei nervi tesi. ― Mi ha solo spaventato.
― Non lo farà più. ― L’irritazione nella voce era palpabile. Avevo la netta sensazione che Ivan avrebbe richiesto un incontro a Besian per risolvere la situazione, una volta per tutte. ― Mi dispiace solo di non essere arrivato prima.
Non riuscivo a credere che si stesse scusando per aver impiegato trenta secondi a correre da una parte all’altra del parcheggio. ― Ivan! ― Gli accarezzai il petto muscoloso. ― Eri qui quando avevo bisogno di te. Questo è tutto ciò che conta.
Lui mi baciò la fronte.
― Andiamocene via.
― Okay.
Presi la sua mano grande e forte tra le mie mentre attraversavamo il parcheggio diretti al suo SUV. Quando ci avvicinammo, mi accorsi che una portiera era spalancata.
― Oh no. Qualcuno ha forzato la macchina?
Ivan rise e si chinò a baciarmi la testa. ― No, ero dentro mentre controllavo una cosa nel retro della macchina, quando mi sono voltato per controllare se eri uscita. Ho visto il bastardo che ti importunava e ho iniziato a correre.
― Oh! ― Alzai lo sguardo su di lui. ― Che cosa stavi controllando ?
― Niente ― rispose mentre apriva la portiera del passeggero. Quando vide che non accennavo a salire, sospirò. ― Va bene, vieni qui. ― Mi trascinò fino al portabagagli dell’autovettura. ― Doveva essere una sorpresa.
Rimasi a bocca aperta quando vidi tutto il necessario per il picnic, incluse coperte e cuscini comodi ― Hai fatto questo per me?
Lui mi accarezzò la schiena. ― Sì, ti piace?
Quando lo guardai, vidi un sorriso leggermente imbarazzato sfiorargli le labbra. Il suo bisogno di farmi felice e coccolarmi mi riempì di un tale amore. Abbandonarsi al romanticismo non era facile per lui, così lo abbracciai stretto per fargli sapere che avevo apprezzato moltissimo il suo gesto. ― Lo adoro. Grazie.
Si rilassò un po’ mentre mi avvolgeva tra le sue braccia forti. ― Pensavo che ti sarebbe piaciuto, ma non ne ero del tutto sicuro. ― Mi sollevò il mento per darmi un tenero bacio. ― So quanto sei turbata dopo aver visto tua sorella. Ho pensato che sarebbe stato bello sedersi in un posto tranquillo per godersi il pomeriggio.
― Ivan ― sussurrai quasi senza fiato. Quando faceva cose così dolci, mi metteva sempre fuori gioco. ― Ti amo davvero.
Lui sorrise. ― Lo so, Angelo.
Mi sollevai sulle punte dei piedi per baciarlo, ma non ero alta abbastanza. Lui colse il suggerimento e si gettò su di me per darmi il bacio che desideravo tanto. Le nostre labbra giocarono brevemente, ma lui cominciò a ritrarsi prima che io fossi pronta per lasciarlo andare.
Lo trattenni vicino afferrandolo per il lembo della camicia. La mia bocca, che impaziente scivolava su di lui, gli strappò un gemito roco. Lasciai che le mie dita si insinuassero fra i bottoni della camicia per accarezzargli la pelle.
― Erin ―disse Ivan con un lieve avvertimento nella voce.
Gli sorrisi timidamente. ― Sai, è piuttosto caldo qui, forse potremmo fare il pic-nic in un luogo più fresco?
― Tipo?
― La nostra camera da letto?
I suoi occhi azzurri si accesero di lussuria. ― Da.
Chiudendo il portabagagli, mi fece scivolare un braccio intorno alle spalle e mi ricondusse al posto del passeggero. Mentre mi allacciavo la cintura, lui girò intorno al SUV. Presi nota del suo sguardo da falco che scrutava l’area del parcheggio alla ricerca di eventuali pericoli o disturbi. Pensando a Ruby e a tutti i problemi che aveva causato, non potevo fare a meno di chiedermi se saremmo mai stati liberi dalle ripercussioni che le azioni di Andrei e mia sorella avevano causato.
Ma non appena Ivan salì in macchina e mi prese la mano, il panico si affievolì. Mi aveva dato prova che non avrebbe permesso a nessuno di farmi del male.
Sollevai la sua mano per baciare le nocche sfregiate. Lui mi rivolse un sorriso confuso mentre usciva dal parcheggio. ― Per che cos’era quello?
― È che ti amo ― gli risposi. Tenni la sua mano in grembo, stringendola. ― Ora sbrigati e portami a casa.
Lui sbuffò divertito. ― Non pensavo fossi così affamata.
Squadrai attentamente il suo fisico sexy assicurandomi che capisse bene che non stavo più pensando al picnic . ― Non ne hai idea!
FINE
Il racconto è protetto da copyright ed è stato tradotto e pubblicato con l’espressa autorizzazione di Roxie Rivera. Ogni riproduzione è riservata. Per informazioni contattare Follie Letterarie.