di Roxie Rivera
Traduzione: Eleonora Morrea
Editing: Jessica Venturi
Cover by: Cora Graphics
Si consiglia di leggere “Una regina per Nikolai” per apprezzare al meglio questo racconto.
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Attenzione: SPOILER
1
Nikolai assaporò la quiete di casa a quell’ora del mattino presto. Aveva consumato una colazione leggera in cucina e ora si godeva una tazza di tè appena fatto, proprio come piaceva a lui. Quando ebbe finito di mangiare, passò alla preparazione del vassoio destinato a Vivian: toast spalmato di burro di mandorle, frutta, un bicchiere di succo di mela e un tazza di cioccolata calda preparata con cura. Si era accertato che tutto fosse perfetto per lei.
La sera precedente, dopo averla riportata a casa dalla galleria e aver fatto l’amore con lei ancora e ancora, Vivian si era svegliata almeno quattro o cinque volte durante la notte. Lui, dal canto suo, aveva imparato subito che chiederle come poteva esserle d’aiuto non faceva altro che esasperarla di più. Quindi era rimasto in silenzio e aveva optato per una tattica meno invadente , con una dolce carezza sulla schiena o stringendole amorevole una mano, per farle sapere che teneva a lei e che era sveglio, nel caso avesse avuto bisogno.
Udì qualcuno entrare dalla porta sul retro. Lo scalpiccio delle suole bagnate e lo zampettare di Stasi contro il legno duro echeggiarono rumorosamente. Boychenko aveva portato fuori il cane a giocare non appena era arrivato per il turno di guardia. Era una routine che i due condividevano e che Nikolai incoraggiava.
A quel punto, il padrone di casa distolse l’attenzione dal pompelmo che stava affettando e agitò il coltello affilato in direzione di Boychenko. — Puliscigli le zampe se sono infangate. Non voglio trovare Vee a carponi che lava il pavimento.
— Scusa, capo. — Boychenko fece una smorfia. Al ragazzo era sicuramente venuto in mente come Nikolai fosse andato su tutte le furie l’ultima volta che aveva sorpreso la moglie incinta china con un panno in microfibra in mano. — Non lascerò che accada di nuovo.
Il giovane se ne sarebbe assicurato, poiché quel l’avvertimento era più che sufficiente. A riprova di ciò, Boychenko afferrò una manciata di tovaglioli di carta e riuscì a convincere l’enorme alano a collaborare all’operazione di pulizia. Una volta terminato il lavoro, Stasi si diresse verso l’enorme isola in cucina e si mise a curiosare in cerca di cibo. Nikolai scosse la testa. — Net.
Il cane sbuffò prima di lasciare la stanza. A quel punto avrebbe fatto il giro di tutta la casa, annusando ogni guardia finché qualcuno non gli avesse dato un biscottino.
— Vivian non ha riposato bene stanotte. — Nikolai finì di tagliare il pompelmo e poi mise le fettine in una ciotola. — Ho già avvisato Ten di non fare troppo rumore in modo che lei possa riposarsi un po’ stamattina. Non voglio che si affatichi troppo oggi. — Raccolse la buccia per poi buttarla nel bidone del compostaggio. — E non deve allontanarsi da casa.
Non aveva bisogno di motivare la sua richiesta. Tutti in famiglia sapevano che giorno era. — Farò del mio meglio. — Nikolai gli porse uno strofinaccio pulito dal cassetto.
— Ne sono sicuro. — Nikolai prese il vassoio e lasciò la cucina. Quando raggiunse la camera al piano di sopra, usò il gomito per aprire la porta con delicatezza. Una pallida luce grigia inondava il letto e l’area salotto. Avrei dovuto chiudere le tende, così il sole non l’avrebbe svegliata.
— Kolya?
Si bloccò a metà strada e si voltò verso il letto. La vide rotolare sul fianco, sollevare la testa dal cuscino del marito e sbattere le palpebre con aria assonnata. — Che ore sono?
— È presto. — Posò il vassoio sul pouf davanti alla sua sedia preferita e si avvicinò a lei. Una volta seduto sul letto, allungò una mano per sistemarle una morbida ciocca di capelli dietro l’orecchio. Vivian aveva sul viso i segni rossi lasciati dalla federa. — Dovresti tornare a dormire.
— Non credo di riuscirci. — Fece una smorfia e roteò le spalle. — La schiena mi sta uccidendo.
— Fammi vedere dove ti fa male. — Gli prese la mano e se la portò fino alla parte bassa della schiena. Nikolai premette nel punto che lei aveva indicato. — Qui?
― Sì.
Vivian di solito era dolce e paziente, ma se le avesse chiesto di spostarsi o girarsi, avrebbe senz’altro perso le staffe, così decise che sarebbe stato molto più saggio mettersi sul letto, dietro di lei. C’era stato un tempo in cui avrebbe protestato al solo pensiero di stropicciare la camicia prima di uscire di casa, ma quei giorni erano ormai lontani. Vivian lo aveva cambiato in modi che non si sarebbe mai aspettato. E lui l’amava ancora di più per questo.
— Ho preparato una cioccolata calda per te. — Le si avvicinò per poi aggiustarle i cuscini in modo che entrambi potessero stare comodi mentre le faceva un massaggio. — È una ricetta di Benny.
Lei si voltò a guardarlo e sorrise. — Così mi vizi.
— Con te mi viene spontaneo. — La baciò sulla guancia prima di sfiorarle la gola con il naso. Ormai Vivian aveva fatto talmente breccia nella sua armatura emotiva che esitò solo un momento prima di ammettere: — Ho lavorato duramente per costruire tutto questo, — e fece un cenno che indicava tutto ciò che li circondava, — così da poter offrire a mia moglie e ai miei figli tutto ciò che desiderano.
Vivian gli sfiorò la mascella, le sue dita scivolarono leggere come una piuma sulla pelle dell’uomo. — Sei tutto ciò che desidero e di cui ho bisogno.
Quella dichiarazione gli avrebbe strappato uno sbuffo derisorio, se detta da chiunque altro. Ma lei parlava sul serio. Vivian voleva davvero solo lui. Ricco, povero, invischiato nella mafia o libero, lei lo amava. Amava tutto di lui, così com’era.
— Ma adoro il modo in cui mi vizi con tutte queste attenzioni.
Nikolai sorrise e continuò a massaggiarle la schiena finché non sentì la tensione abbandonarle le spalle. In fondo alla sua mente, sapeva che doveva mettersi in viaggio se avesse voluto presenziare alla riunione in tempo, ma in quel momento non gliene fregava un cazzo di far aspettare Luka Beciraj. Non appena si era parlato della possibilità di quell’incontro, Nikolai aveva manifestato il proprio disaccordo. Aveva messo in chiaro che sua moglie era pronta a dare alla luce il loro primogenito da un momento all’altro, e che aveva bisogno di starle vicino per poterla proteggere e tenerla al sicuro quando lei era più vulnerabile.
Vivian emise un sospiro di sollievo mentre lui premeva forte contro la curva della sua spina dorsale. Al movimento della mano abbinò teneri baci disseminati su e giù per il collo e la mascella. — È così piacevole.
Il suono ansimante della sua voce lo fece impazzire. Solo qualche ora prima l’aveva posseduta proprio lì, steso su quegli stessi cuscini mentre lei si scatenava sopra di lui. Gli bastò il ricordo di come Vivian gli aveva artigliato il petto per poi gridare il suo nome ancora e ancora perché un bruciante desiderio lo attraversasse con ferocia. Era difficile credere che solo un anno prima fosse stata una sposa vergine, timida e insicura. Ora era una gattina seducente e scostumata che gli faceva perdere la testa.
Quando Nikolai lasciò vagare la propria mano lungo la curva del fianco fino alla parte superiore della coscia, lei ridacchiò e gli afferrò il polso. — Non possiamo.
— Sì, che possiamo. — Trascinò la mano della moglie insieme alla propria mentre le infilava le dita sotto la camicia da notte e scopriva la morbidezza setosa della pelle nuda.
— Kolya…
— Silenzio, — le sussurrò con dolcezza. — So come farti rilassare.
— Sai come farmi fare quello che vuoi.
— Anche.
La fece sdraiare sulla schiena con una spinta delicata e le aprì le cosce. Lei nemmeno protestò quando Nikolai dispensò baci sensuali lungo il rigonfiamento di ciascun seno. Lui afferrò il lembo della camicia da notte con i denti, così da rivelare una porzione più ampia di pelle nuda. Non appena le lambì il capezzolo con la lingua, la sentì ansimare. Consapevole di quanto Vivian fosse sensibile in quel periodo, si muoveva sempre con estrema delicatezza. Le appoggiò una mano tra le gambe, sulla parte più intima, e ruotò lentamente il polso, strofinandole il palmo contro il clitoride. La pressione non era abbastanza per condurla al picco, ma si rivelò comunque sufficiente perché si contorcesse tra gemiti di piacere. Quando lei tentò di baciarlo, lui si tirò indietro con un sorriso, e lei dovette impegnarsi non poco. A quel punto, Vivian gli infilò le dita tra i capelli per afferrargli una ciocca e attirarlo a sé, così da ottenere quel bacio che tanto anelava.
Nel momento in cui le loro lingue si incontrarono, Nikolai cambiò tattica e cominciò a esplorare il sesso della moglie con le dita. Girò attorno al clitoride con un movimento lento, lavorando quella piccola perla fino a farla inturgidire. Quando Vivian iniziò ad aggrapparsi alle sue spalle e a dondolare i fianchi, lui la penetrò con due dita e le strofinò il clitoride con il pollice. Le morse il labbro inferiore, quel tanto che bastava per strapparle un sussulto, e poi le tempestò di baci la mascella fino al punto sensibile del collo che lui amava tormentare. Succhiò forte e le sfiorò la pelle con i denti. Sapeva di lasciarle un segno che sarebbe rimasto per tutto il giorno.
A quel punto Vivian raggiunse l’orgasmo. Gli affondò le unghie nella spalla e nascose il viso contro la sua gola mentre veniva. Nell’udire i gemiti di estasi della moglie, si lasciò andare a un ghigno spudorato. Amava farle perdere il controllo in quel modo, condurla al piacere con l’abilità consolidata di un uomo che conosceva tutti i segreti del corpo della propria donna. Lei era sua e solo sua, e voleva che Vivian ricordasse sempre che lui era l’unico che poteva farla sentire così.
Mentre lei si riprendeva, lui accarezzò le curve lussureggianti della donna e la baciò con tenerezza. Vivian aveva le guance arrossate e un sorriso dolce e rilassato che gli confermava di aver fatto un buon lavoro. Le sfiorò il mento con il pollice per poi sussurrarle: — Ja tebja ljublju.
Gli baciò la guancia. — Anch’io ti amo.
Quando le piccole mani di Vivian scivolarono verso la fibbia della sua cintura, lui la bloccò con gentile fermezza. Lei lo guardò confusa. — Ma tu?
— Io sto bene. — Le premette le labbra sulla fronte. In realtà non stava affatto bene. L’erezione gli pulsava dolente, ma sapeva cosa sarebbe successo se avesse fatto l’amore con sua moglie come avrebbe voluto. Si sarebbe rilassato e non poteva permetterselo. Non con tutto quello che doveva essere messo a punto durante l’incontro previsto per quel giorno. — Sono già in ritardo.
Lei gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a incontrare il suo sguardo implorante. — Promettimi che starai attento oggi.
Lui socchiuse gli occhi insospettito. Le aveva detto che sarebbe andato fuori città per affari, ma non le aveva dato alcun motivo di preoccuparsi. — Hai origliato di nuovo.
— No. — Ma la vide abbassare rapidamente lo sguardo. — Sì, — ammise quieta alla fine. — Ho sentito te e Kostya parlare in cucina la scorsa notte.
― Vee…
Quando lei alzò il volto per guardarlo, la sua espressione era colma di preoccupazione. — Hai davvero intenzione di vederti con Luka, mio padre e Hector Salas?
— Vee. — Pronunciò il suo nome con tono più deciso, nell’intento di fermarla prima che lei cominciasse a tartassarlo con troppe domande. — Conosci la mia posizione su questa faccenda.
La vide mettere il broncio come una bambina. — Cos’è successo all’accordo del “nessun segreto”?
— Sei incinta, — sottolineò l’ovvio. — Non hai bisogno di preoccuparti di queste cose. E ti avevo avvisato che oggi avrei incontrato tuo padre.
— Ma non hai detto niente di Luka Beciraj!
— Perché non volevo che ti allarmassi in questo modo. — Lui la guardò accigliato. — Sapevo che ti saresti fatta prendere dal panico.
— È troppo pericoloso, Nikolai. Incontrare Luka, Hector… e mio padre. È ancora un fuggitivo ricercato! Luka non può volare in questo paese senza essere segnalato, e sai che la DEA probabilmente ha i propri informatori annidati tra gli affari di Hector.
La tristezza gli trafisse il cuore. Da come Vivian parlava degli inferi malavitosi, era chiaro che aveva fatto proprie le dinamiche di quel mondo e ciò lo turbava profondamente. Quella non era la vita che aveva desiderato per lei. Prima che la ragazza finisse a lavorare al Samovar, Nikolai ricordava di aver pensato a un futuro brillante per quella che era la sua giovane pupilla, e così si era impegnato per aiutarla a esprimere tutto il proprio potenziale.
Vivian doveva diventare un’artista di grande successo e sposarsi con un brav’uomo. Con il padre in prigione e dopo essersi trasferita dai nonni, avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle il pericoloso mondo del crimine.
Alla fine era diventata davvero un’artista di successo. Aveva conseguito la laurea. Aveva amici che la amavano ed era molto rispettata nella loro comunità.
Solo che aveva scelto lui. Non aveva optato per un uomo onesto come marito e compagno di vita. Lei ha scelto me. Aveva accettato di camminargli accanto in quella vita e di costruire con lui una famiglia, anche se ciò implicava tenere un piede nell’oscuro mondo di quella criminalità che aveva quasi reclamato la sua giovane vita.
Dille la verità. Se lo merita.
Con un sospiro, le spiegò la situazione. — Luka è entrato legalmente passando da New York. Ha portato con sé suo cugino. Sembrano così simili che potrebbero essere fratelli. Suo cugino è rimasto a New York e finge di essere lui. Zec ha portato qui Luka senza che nessuno se ne accorgesse.
I suoi occhi si spalancarono. — Lo fanno spesso? Scambiarsi di posto, intendo.
— Durante la faida familiare, si trattava di una misura di sicurezza. Adesso lo fanno solo quando è necessario. — Le strofinò il lobo dell’orecchio tra le dita. — Hector sa badare a se stesso. Tuo padre è un vero maestro in questo genere di cose. Ci incontriamo in uno chalet in riva al lago, appena fuori Mathis. Kostya ha organizzato tutto.
Lei parve studiare l’espressione di Nikolai per un lungo momento piuttosto intenso, poi annuì. ― Va bene.
Le appoggiò una mano sul pancione e le strofinò il naso con il proprio — Non farei nulla per mettere a repentaglio la mia vita, non ora. — Si chinò e le baciò il ventre. — Non quando ho tutto ciò per cui valga la pena vivere…
Nikolai sollevò la testa, implorandola di capire la situazione. — Ciò che faccio oggi lo sto facendo per noi. Lo sto facendo per rendere questa città più sicura e per liberare la nostra famiglia dall’ultimo dei nostri affari più pericolosi. Stiamo per dedicarci a occupazioni più proficue e lecite.
— Mi fido di te, Kolya. — Con un sorriso gli accarezzò il viso. — Ti amo così tanto. Per favore, fai attenzione.
— Sempre. — La baciò un’ultima volta prima di scivolare fuori dal letto. — Hai fame?
— Sì, grazie. — Cercò di mettersi seduta, ma alla fine lui ebbe pietà di lei e l’aiutò. Dopo averle sistemato i cuscini dietro la schiena, portò il vassoio sul letto e le porse il telecomando della televisione. Vivian si mise in bocca una fetta di pompelmo e accese il telegiornale. — Chiamerò Kiki più tardi per vedere se ha qualche consiglio per il mio mal di schiena.
Alla menzione della doula, nonché fautrice del metodo Bradley, che avevano assunto pochi mesi prima, Nikolai cercò di mantenere un’espressione neutra. Quando Vivian aveva deciso di voler provare un parto naturale, lui aveva sostenuto la scelta della moglie, ma la paura che qualcosa potesse andare storto durante il parto in casa lo teneva sveglio la notte. E così erano giunti a un compromesso: Vivian avrebbe partorito in uno dei migliori ospedali della città se lui avesse accettato di assumere una doula e di frequentare i corsi di preparazione al parto.
Aveva acconsentito solo per lei, ma a dire il vero non si era sentito molto a proprio agio, poiché al corso solo un altro dei futuri papà aveva avuto il coraggio di parlargli o anche solo di cercare di essere amichevole durante le pause. A peggiorare le cose, Kiki era una brava persona, ma aveva una voce che perforava il cervello come il trapano di un dentista. Poteva gestirla a piccole dosi, ma di certo non moriva dalla voglia di condividere una stanza d’ospedale con lei per ore e ore.
E c’era dell’altro, qualcosa che si vergognava di ammettere anche a se stesso: era geloso del modo in cui Vee pendeva dalle labbra di quella Kiki. Preferiva sempre i consigli della doula ai suoi. Era infantile da parte sua, davvero, ma le cose stavano così. Era abituato al fatto che Vivian si rivolgesse a lui per dei consigli o per avere supporto. Vederla ricorrere a un’altra persona e metterlo da parte lo faceva incazzare.
Ma tenne la bocca chiusa. Vivian aveva bisogno dell’aiuto di Kiki per affrontare l’esperienza del parto che desiderava.
— Tornerai a casa tardi?
— Cercherò di tornare il prima possibile. — Buttò un’occhiata all’orologio. — Ci vorranno tre ore di macchina per arrivare al luogo dell’incontro. I colloqui dureranno un’ora o due. E poi altre tre ore per il ritorno. Devo fare un salto al Samovar e poi visitare un paio di cantieri prima di tornare a casa.
— Non andare di fretta. — Gli afferrò la mano e intrecciò le loro dita. — Sono in buone mani.
Nell’intento di non preoccuparla ulteriormente, disse: — Ho messo degli uomini in più in casa oggi. — Le afferrò la mascella con delicatezza. — È solo una precauzione.
Non aggiunse che Besian aveva fornito alcuni dei propri uomini a supporto della sorveglianza della casa, mentre Romero aveva inviato alcuni dei suoi ragazzi più fidati come rinforzo. A Houston Vivian non poteva essere più al sicuro di così.
Nikolai si chinò e le catturò la bocca in un bacio suadente. — Ci vediamo più tardi.
— Ciao.
Lasciò la porta della camera da letto aperta di qualche centimetro, prima di scendere le scale. Danny e Arty stavano aspettando in cucina. Afferrò la sua giacca dallo schienale della sedia e se la infilò. — Andiamo.
Affiancato dai suoi uomini, Nikolai lasciò la casa e salì a bordo del SUV di Artyom, sul sedile del passeggero accanto al posto di guida. Mentre il suo capitano più fidato faceva retromarcia sul vialetto di casa, Nikolai fissò le finestre della camera da letto che si affacciavano sul giardino. Riusciva appena a distinguere la sagoma di una donna – la mia donna – che si intravedeva dietro le tende bianche. Era certo che lei stesse guardando, e così abbandonò il suo consueto atteggiamento granitico e distaccato per sollevare una mano e salutarla. Il tessuto venne scostato quel tanto che bastava per mostrare il bel viso di sua moglie intenta a rispondere al saluto.
Al volante, Artyom sorrise. Nikolai colse la sua espressione e gli scoccò un’occhiata di fuoco. Il capitano si mise a ridere. — Ti stai ammorbidendo, capo.
Con il pensiero alla moglie che aspettava il suo ritorno, mormorò: — Vivian è la persona più dolce che conosca. — Si allacciò la cintura di sicurezza. — È anche la più forte.
Artyom si lasciò andare a una smorfia divertita. — Da quando sei diventato così romantico?
Nikolai sbuffò e si mise a proprio agio in vista del lungo viaggio che lo aspettava. — Pensa a guidare e basta.
— Sì, capo.
2
Con il collo dolorante, Nikolai uscì nell’aria fredda di un pomeriggio di gennaio e attraversò a grandi passi il pontile. Lo chalet sul lago, con la sua posizione appartata, aveva offerto ai quattro capi esattamente ciò di cui avevano bisogno per trovare un accordo su armi, droga e alcuni affari collaterali. Erano state due ore lunghe ma produttive, e tutto sommato erano filate abbastanza lisce. Di solito Nikolai si trovava a svolgere un ruolo di mediatore in queste conversazioni, ma Hector, Luka e Romero erano tutti venuti al tavolo pronti a rafforzare i legami, espandere i loro affari e costruire le migliori alleanze.
Un movimento tra gli alberi attirò la sua attenzione. Individuò Danny lungo il perimetro e poi uno degli uomini di Hector a una ventina di metri di distanza. Avevano circondato l’area, ma Nikolai non si aspettava alcun problema.
— È bellissimo qui fuori. — Luka uscì dallo chalet e lo raggiunse.
Il giovane capo tirò fuori da una tasca un pacchetto di sigarette e gliene offrì una.
Nikolai scosse la testa. — Non fumo.
Luka sorrise con fare consapevole prima di accendersela e buttare fuori un primo lungo tiro. — Come sta tua moglie?
— Sta molto bene. — Nikolai lo guardò godersi la sigaretta senza provare invidia. Il desiderio di fumare si era finalmente assopito e ormai non lo infastidiva più.
— Devi essere entusiasta del fatto che tuo figlio arriverà presto. — Gettò la cenere oltre il bordo della ringhiera prima di appoggiarvi le braccia.
― Sì.
— È una cosa bella, sai? Avere un erede così in fretta. Sei un uomo fortunato. — Buttò fuori una nuvola di fumo. — Se tua moglie ti desse un altro maschio o due e poi delle femmine, potresti costruire una vera dinastia. La famiglia è tutto. Il legame di sangue è tutto.
Nikolai non sapeva cosa rispondere. Luka era cresciuto in una grande famiglia dove i legami famigliari erano fondamentali. Nikolai, invece, non aveva potuto contare su quel tipo di affetto durante la sua infanzia.
A volte temeva di non poter essere un buon padre o l’uomo di cui sua moglie e i suoi figli avrebbero avuto bisogno. Alla fine placava quelle paure ricordando a se stesso che Vivian era la sua compagna. Non gli avrebbe permesso di condurre la sua anima già macchiata dal mondo del crimine, a un punto di non ritorno. Le gli avrebbe mostrato la strada.
Proprio in quel momento gli venne in mente lo strano contratto di matrimonio che esisteva tra Luka e la ragazza del clan Dushku, e disse: — Presto anche tu darai vita alla tua famiglia.
Luka emise un brontolio. — Vedremo.
— Incontrerai la ragazza mentre sei qui? — Per quanto ne sapeva Nikolai, la giovane, una studentessa universitaria di Houston, non era ancora stata informata dell’accordo matrimoniale stretto tra la sua famiglia e quella di Luka. Poteva solo immaginare i fuochi d’artificio che avrebbero accompagnato quella scoperta.
Luka scosse la testa. ― No. Aspetterò fino a maggio, quando si diplomerà, e poi potrò portarla subito a casa con me.
Nikolai sapeva che non era compito suo dirgli come corteggiare la futura moglie, ma era abbastanza sicuro che l’arroganza e il distacco di Luka lo avrebbero messo nei guai. Era ancora lì a cercare un modo per elargire un consiglio valido al giovane capo senza offenderlo, quando Romero si unì a loro.
Suo suocero si lasciò cadere su una sedia Adirondack e allungò le gambe. Il suo giacchetto di pelle da motociclista scricchiolava a ogni movimento. Lo vide sussultare non appena cominciò a sciogliere la caviglia, e Nikolai si chiese se l’età non stesse finalmente raggiungendo il famigerato ricercato messicano. — Come stava la mia bambina quando l’hai lasciata stamattina?
Come ad aver intuito che la sua presenza avrebbe ostacolato la discussione tra i due, Luka si scusò e con calma e si diresse verso il lago in compagnia della sigaretta.
— Sta bene. Stanca, — aggiunse Nikolai, — ma sta bene.
Romero fissava il lago. — La terrai d’occhio dopo che sarà nato il bambino? — Nikolai sapeva esattamente cosa gli stava chiedendo Romero senza nemmeno bisogno di spiegazioni.
La madre di Vivian aveva sofferto di una terribile depressione post-partum che aveva aggravato i suoi problemi di salute mentale già esistenti. Un giorno aveva perso la testa, per poi tentare di affogare Vivian in una vasca da bagno. Da quello che si diceva in giro, aveva già ferito o abusato di Vivian parecchie volte prima di quell’orribile gesto.
— Le starò sempre vicino, ma non devi preoccuparti. Vivian ha parlato con il medico della propria storia familiare. Ci siamo fatti spiegare quali siano i sintomi a cui prestare attenzione. — Non aveva bisogno di dire che avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenere Vivian e il bambino al sicuro. Terapia, farmaci, tate, infermiere notturne: avrebbe mosso il cielo e la terra per assicurarsi che sua moglie avesse ciò di cui aveva bisogno per essere una buona madre, felice e in salute. — Siamo preparati.
Il silenzio calò tra i due uomini. Alla fine Romero trovò qualcosa da dire.
— Era la bambina più bella. — Quel tono distaccato non corrispondeva all’espressione malinconica. — I suoi occhi sono di un azzurro più pallido ora, ma quando era piccola erano più blu dell’acqua dell’oceano. Non avevo mai visto niente del genere. — Si schiarì la gola e tenne lo sguardo fisso sul lago. — Non potevo credere di aver realizzato qualcosa di così perfetto.
Nikolai non disse nulla. Non sentiva di avere tutta quella confidenza con suo suocero. Dopotutto, Romero aveva cercato di ucciderlo dieci anni prima. Sentir parlare di sentimenti paterni quell’uomo così complicato, che girava sempre con un machete addosso, si rivelò a dir poco un’esperienza inquietante.
Kostya giunse a salvarlo da quella conversazione imbarazzante. Con la bocca stretta e gli occhi socchiusi per la preoccupazione, il pulitore gli porse un cellulare. — A questa devi rispondere.
Afferrò il telefono, ma il tono di Kostya non gli piacque affatto. — Pronto?
— Kolya?
Percepì la tensione nella voce di Vivian, e chiese: — Cosa c’è?
— Uhm… — La sentì buttare fuori l’aria. — Sei occupato?
― No. Abbiamo finito. Eravamo sul punto di venire via. Che succede?
— Non farti prendere dal panico.
Sono già nel panico, cazzo. — Cosa c’è che non va?
— Sono in travaglio.
— Che cosa? — A quell’esclamazione, Romero si alzò in piedi. — Sei sicura?
— Kiki è qui. Sono entrata in travaglio.
Cazzo. — Da quanto tempo hai le contrazioni?
— Ehm…
― Vee!
— Be’, sono iniziate subito dopo che te ne sei andato. All’inizio non erano regolari, ma erano dolorose. Ora sono regolari e dolorose.
Gli si strinse lo stomaco. Cinque ore. Cinque fottute ore! Avrebbe voluto tempestarla di domande, invece cercò di mantenere la calma. — Quanto sono ravvicinate?
— Oh, passano circa venti minuti fra una contrazione e l’altra. Kiki dice che ho tutto il tempo per andare in ospedale.
Kiki dice, Kiki dice. Avrebbe voluto dirle lui due parole a Kiki.
— Sto tornando a casa. Non aspettarmi se hai bisogno di andare in ospedale. Ten, Ilya e Boychenko sanno cosa fare.
— Lo so. — Sembrava stranamente calma in quel momento. — Prenditi tutto il tempo. Non avere fretta. Potrebbero volerci ore e ore.
Ore? Non voleva pensare a Vivian che soffriva anche solo per un’ora. — Ja tebja ljublju.
— Ti amo anch’io, Kolya.
Nikolai chiuse la chiamata e lanciò il telefono a Kostya. — Ce ne andiamo. Adesso.
— È ora? — Romero sembrava quasi in ansia.
— Sì. — Esitò. — Vieni a Houston?
Romero scosse la testa. — Non stasera. Mi aspetteranno. Troverò un modo per vedere mia figlia e mio nipote. Presto. — Suo suocero indicò la casa. ― Vai. Farò sapere agli altri che hai avuto un’emergenza.
Nikolai si diresse di corsa verso lo chalet con Kostya alle calcagna, poi scivolò sul sedile del passeggero della macchina. Il viaggio di ritorno a Houston avrebbe dovuto durare un po’ più di tre ore, ma Kostya non lesinò sull’acceleratore. Nikolai rimase in contatto con Vivian attraverso frequenti chiamate e messaggi. Dopo due ore di macchina, tutto quel tempo gli parve troppo da gestire. Continuò a scorrere le liste di cose da fare e a ripassare le lezioni che avevano seguito durante il corso di preparazione al parto. Divorato dalla preoccupazione, dovette prendersi mentalmente a calci per liberare la testa non appena il pensiero corse ai “cosa succede se” e a tutti i modi in cui il travaglio sarebbe potuto andare storto.
— Andrà tutto bene. — Kostya era rimasto in silenzio fino a quando non erano giunti a Houston. — Le donne partoriscono dalla notte dei tempi. Il suo corpo sa cosa fare. — Cambiò rapidamente corsia e premette di nuovo sull’acceleratore. — E se ci fossero problemi, ha a disposizione alcuni dei migliori medici della città.
Le parole incoraggianti di Kostya non riuscirono a calmarlo nonostante le migliori intenzioni. Al contrario, Nikolai si ritrovò a pensare al cesareo e a tutte le possibili complicazioni del parto. Quando finalmente giunsero davanti a casa, era psicologicamente distrutto. Scese dal veicolo ancora in movimento.
— Vee! — Irruppe in casa attraverso la porta d’ingresso e trovò Boychenko seduto sulle scale, con la testa tra le mani. Non gli sfuggì l’espressione di sollievo che si dipinse sul volto del giovane. — Dov’è Vivian?
— In camera da letto con la sua doula, — rispose Boychenko, mentre si alzava per farsi da parte. — Il SUV è pronto per partire. Il bagaglio è già stato caricato sul sedile posteriore.
Nikolai fece un cenno al ragazzo e corse di sopra. Ten era appoggiato al muro, fuori dalla camera da letto. A braccia incrociate, sembrava teso e sconvolto. Non appena vide Nikolai si mosse imprecando pesantemente in russo. — Hai dovuto spingere la macchina a mano?
Nikolai lanciò alla guardia uno sguardo ammonitore. — Non adesso.
— Penso che la faccenda si stia facendo seria, — osservò Ten. — Camminava per casa e saliva e scendeva le scale, ma ora è chiusa in camera da almeno quaranta minuti. — Controllò l’orologio. — Lei e Kiki non sono più uscite da allora, ma i suoi lamenti di dolore si sentono fino a qui.
Non appena entrò nella camera da letto, trovò Vivian che camminava da un’estremità all’altra della stanza, mentre Kiki la incoraggiava a continuare a muoversi, a rilassarsi e buttare fuori aria dopo ogni contrazione. Non appena lo vide, Vivian sorrise. Nikolai si precipitò al suo fianco e l’avvolse in un abbraccio amorevole. Lei gli affondò il viso contro il collo. — Sono così felice che tu sia qui.
— Mi dispiace che ci sia voluto così tanto tempo.
— Va bene. Le mie contrazioni sono a dodici minuti di distanza. Tutto procede lentamente. Non ho nemmeno… oh! — Gli strinse le braccia così forte da strappargli un sussulto.
Non appena si rese conto che lei si irrigidiva, le afferrò la nuca con una mano e l’accarezzò con dolcezza. Poi le posò l’altra sul ventre duro come la roccia, e gli tornarono in mente tutte le nozioni che avevano ricevuto. — Devi rilassarti, Vivian. Ogni volta che ti irrigidisci e ti opponi alla contrazione, farà più male.
Come se la sola presenza del marito fosse bastata a calmarla, Vivian emise un profondo respiro. Nikolai cominciò ad avvertire i muscoli della giovane che si rilassavano. Poi lei gli si accasciò addosso, aggrappandosi alla sua vita e dondolandosi da un lato all’altro. Lui premette una guancia su quella della moglie, poi chiuse gli occhi e la tenne stretta, dandole il sostegno di cui aveva bisogno, finché la contrazione non terminò.
Quando aprì gli occhi, vide Kiki ancora seduta sulla sedia che gli sorrideva con calore. Dopo aver trovato tanto odiosa quella donna per diverse settimane, ora si sentiva stranamente felice di avere la sua approvazione. Non ho alcuna intenzione di rovinare tutto. Posso farcela. Posso aiutare Vee a superare tutto questo.
Con un cenno rivolto al bagno, Kiki gli sussurrò una parola, “Doccia”.
E così ricordò anche i suggerimenti sui benefici dell’acqua e delle docce durante la prima fase del travaglio. Condusse Vivian in bagno senza dire una parola e chiuse la porta. Aprì la doccia, miscelando la temperatura, e cominciò ad allentarsi la cravatta. Senza curarsi di dove finissero i suoi vestiti, li lasciò cadere a casaccio dietro di sé, poi aiutò Vivian a liberarsi della canotta e dei pantaloni da yoga.
Non passò molto tempo sotto l’acqua prima che lei gemesse di nuovo per il dolore. Vivian gli si appoggiò addosso. Nikolai avvolse le braccia intorno al suo corpo nudo, sostenendole il pancione, e le baciò il collo. — Respira, solnyško. Puoi farcela. Una contrazione alla volta.
Lì, da solo con Vivian, avvolto nel vapore della doccia, si rese conto che tutto il terrore che aveva provato pensando a eventuali scenari funesti non le sarebbe stato di alcun aiuto. Doveva mettere da parte la paura ed essere l’uomo forte e coraggioso di cui lei aveva bisogno. Tutto questo non riguarda te. Riguarda lei.
Le sussurrava parole di incoraggiamento, continuando ad accarezzarla in modo da ricordarle che non era sola, poi cercò di parlarle tra una fitta di dolore e l’altra. Dopo cinque contrazioni passate sotto la doccia, Vivian disse che voleva riposare le gambe.
Incurante di mostrare i propri tatuaggi che normalmente si preoccupava di nascondere, si avvolse un asciugamano intorno alla vita e la coprì con un soffice accappatoio appeso dietro alla porta. Non disturbò Vivian chiedendole cosa volesse mettersi addosso. Afferrò una canotta e mutandine di cotone dalla cabina armadio, poi l’aiutò a infilarseli.
Nel frattempo, in camera da letto, Kiki aveva tirato fuori una grande palla da parto. Vivian vi si lasciò cadere volentieri sopra, per poi sporgersi in avanti contro il materasso. La doula le massaggiò la parte bassa della schiena mentre lui si vestiva in tutta fretta. Nikolai uscì dal bagno al grido di sua moglie alle prese con un’altra contrazione. Fissò l’orologio, calcolando gli intervalli. Di quel passo il travaglio sarebbe durato ore!
Senza dire una parola, Kiki lo incoraggiò a prendere il suo posto e poi lasciò in silenzio la camera da letto. Nikolai appoggiò il mento sulla spalla di Vivian e le massaggiò la parte bassa della schiena. — Cos’altro posso fare per aiutarti?
— Solo non lasciarmi, — rispose con voce molto tesa. — Ho bisogno di poterti vedere.
— Zoloto. — Le baciò la tempia. — Sono qui. Resterò sempre al tuo fianco.
Vivian appoggiò la fronte sulle braccia incrociate e si dondolò avanti e indietro sulla palla. Poi, con voce attutita, gli chiese: — Come sta mio padre?
Nikolai pensava che quello non fosse il momento di parlare di Romero, ma se ciò avesse contribuito a distoglierla dal dolore e dal disagio che stava provando, le avrebbe detto tutto ciò che voleva sapere. — Sta bene. Mi ha detto che presto verrà a trovare te e il bambino.
— E i tuoi affari?
Era sul punto di dirle di non preoccuparsi di quella questione, ma la conosceva troppo bene. Avrebbe continuato a insistere se lui non l’avesse rassicurata. — Tutto ha funzionato esattamente come avevo programmato.
— Bene. — Aveva parlato con tono sollevato. — Sono contenta.
Le due ore successive passarono come quelle precedenti. Vivian oscillava sulla palla. Camminava. Si appoggiava a lui e ondeggiava. Nikolai riuscì persino a farla bere e mangiare una banana che Kiki aveva preso dal piano di sotto. La doula non faceva che sorprenderlo restando fuori dai piedi e offrendo supporto o consigli solo quando era necessario. In silenzio, e con riluttanza, fu costretto ad ammettere che Vivian avesse avuto ragione nell’assumere una specialista del parto.
Le contrazioni si fecero più forti e ravvicinate finché, finalmente, giunse il momento di partire per l’ospedale. A quel punto, Ten stava camminando su e giù per il corridoio. Boychenko parve sul punto di svenire quando Vivian si fermò a metà delle scale con un ringhio per via di una contrazione particolarmente dolorosa.
— Guido io. — Ten prese le chiavi del SUV dal gancio. — Tu! — indicò Kiki, — siediti davanti con me.
La doula sembrò titubante di fronte a quel gigantesco sicario, ma si limitò ad annuire e lo seguì con alcune borse. Boychenko non si unì a loro perché sarebbe rimasto a sorvegliare la casa, ma Ilya e alcuni membri dell’equipaggio di Artyom li avrebbero scortati per ogni evenienza. Nikolai riteneva che nessuno sarebbe stato così stupido da fare una mossa quella notte, ma non dava mai nulla per scontato, almeno non per quanto riguardava Vee.
Semmai qualcuno avesse tirato fuori le palle per un eventuale attacco, ci avrebbe pensato poi lui a privarlo degli attributi. Non avrebbe nemmeno chiamato Kostya per quel lavoro. Se ne sarebbe occupato lui stesso e con estremo piacere.
Una volta in viaggio, le contrazioni di Vivian si fecero più intense, ma la silenziosa concentrazione della donna quasi lo snervò. Se non fosse stato per la sua mano che gli stringeva così forte le dita, non si sarebbe nemmeno accorto della sua sofferenza. Ten lanciava frequenti occhiate nervose a loro due attraverso lo specchietto retrovisore. Kiki si voltava ogni tanto per offrire il proprio supporto. Nikolai ignorò tutti tranne Vivian. Sostenne lo sguardo di sua moglie che cercava di respirare in preda a una contrazione lunga e dolorosa.
Quando raggiunsero l’ospedale, Ten rimase indietro per occuparsi del parcheggio. Con la borsa a tracolla, Nikolai, affiancato da Kiki, aiutò Vivian a uscire dal veicolo. Si fecero strada all’interno dell’edificio e furono rapidamente condotti al reparto maternità.
Si aspettava di trovare una gran confusione, e invece vennero accolti dalla ginecologa di Vivian che la venne a salutare mentre l’infermiera di turno prendeva nota dei segni vitali e si assicurava di avere fra le mani la giusta cartella clinica. A quel punto le chiesero se avesse voluto tenere addosso solo la canotta, ma Vivian optò per il camice.
— Mi aiuti?— Gli parve che la donna faticasse ad articolare frasi troppo elaborate. Era come se il suo cervello avesse deciso di disattivare alcune funzioni in modo da concentrarsi sull’unico obiettivo: far nascere il loro bambino.
— Andiamo, — le disse con gentilezza. Con un braccio intorno alle spalle di Vivian, Nikolai la guidò in bagno per poi spogliarla. Si era girato per piegarle la canotta e la gonna quando la sentì ansimare. Non appena si voltò, trovò Vivian che si teneva il ventre arrotondato con lo sguardo fisso al pavimento dove aveva iniziato a formarsi una pozza di liquido sempre più grande.
I suoi occhi erano spalancati e sembrava completamente scioccata. — Penso che mi si siano appena rotte le acque.
— Aspetta che ti aiuto a ripulirti. — Le tolse il camice bagnato e l’aiutò a entrare nella doccia. — Te ne prendo una nuova.
Quando aprì la porta del bagno, l’ostetrica e le infermiere lo spinsero a farsi da parte e presero in mano la situazione. Una volta sicure che Vivian stesse bene e che il liquido amniotico fosse pulito, le fu permesso di fare la doccia e alla fine di cambiarsi. Nikolai l’aiutò a mettersi a letto, dopodiché le applicarono una flebo per ogni evenienza, e una fascia di monitoraggio attorno al pancione.
Il suono del battito cardiaco di suo figlio riempì la stanza. Il brivido dell’attesa lo scosse fino al midollo. Prima che quella notte fosse finita, avrebbe tenuto suo figlio tra le braccia. Diventerò padre.
— Otto centimetri, — annunciò l’ostetrica dopo aver controllato i progressi di Vivian. Nikolai accarezzò il ginocchio di sua moglie e le sorrise incoraggiante. — Non manca molto, tesoro.
Vivian alzò lo sguardo su di lui e riuscì a elargirgli un debole sorriso, sostituito rapidamente da una smorfia di dolore. Ben presto si resero conto che Vivian non riusciva a sopportare il dolore mentre era stesa a letto. Un dispositivo di monitoraggio le fu attaccato al ventre e a quel punto si dedicarono alla stessa routine eseguita a casa: camminare, dondolarsi, accovacciarsi. Con la guida di Kiki e affidandosi anche al proprio intuito, Nikolai supportò Vivian come meglio poteva.
— Per favore, smettila di controllare l’orologio! — Vivian scattò dopo una contrazione particolarmente lunga e intensa.
Preso alla sprovvista dal richiamo colmo di livore, Nikolai si limitò ad annuire e slacciò il cinturino, mettendosi l’orologio in tasca così da dimenticarsene. Non si era nemmeno reso conto della frequenza con cui lui lo aveva guardato. — Non volevo farti fretta, Vee.
— Lo so. — Gli premette la fronte sul petto e si chinò su di lui. — Mi dispiace.
— No, non scusarti. Va tutto bene. — La avvolse tra le proprie braccia e cominciò a massaggiarle la schiena. — Va tutto bene.
— Mi viene da vomitare. — Vivian si allontanò da lui all’improvviso, e si guardò intorno frenetica.
— Qui. — Kiki apparve con una bacinella e un asciugamano proprio mentre sua moglie cedeva alla nausea. Mentre Vivian dava di stomaco, Kiki sussurrò: — Transizione.
Ora il dolore sembrava giunto al picco. Vivian si accucciò lungo il bordo del letto, aggrappandosi al materasso ansimante, le contrazioni che le dilaniavano il corpo esile come un tormento senza fine. Non emetteva alcun suono, a parte quei respiri misurati. Nikolai non riusciva nemmeno a immaginare l’agonia che doveva attanagliarla in quel momento. Il senso di colpa lo divorò. Io le ho fatto questo.
Dovette mordersi la lingua al pensiero del sollievo che le avrebbe offerto un’epidurale. Avrebbe potuto riposare a letto invece di trovare nuovi modi per abbracciare il dolore, mentre il suo corpo lavorava per dare alla luce il loro primo figlio. Al ricordo della sofferenza patita a seguito delle ferite da coltello e colpi di pistola, si chiese quanto potessero essere peggiori i dolori del travaglio. Dieci volte peggiori? Venti?
E quella non era nemmeno la parte più ostica del parto. Presto si sarebbe trovata in un inferno. Sentì quasi cedergli le gambe quando un’ondata di nausea lo investì solo ad immaginare l’incredibile dolore che avrebbe accompagnato la nascita del bambino.
Fai l’anestesia, Vee. Accetta di fare l’anestesia, cazzo! Voleva gridarle di cambiare idea, di chiamare un medico prima che fosse troppo tardi.
Ma non disse nulla.
Accovacciato accanto a sua moglie, Kiki lo guardava come per incitarlo in silenzio a fare qualcosa. Prese un asciugamano pulito dalla pila accanto al lavandino posto nella sala travaglio, lo immerse in acqua fredda, lo strizzò e tornò al fianco di sua moglie. Assunse la stessa posizione accovacciata, le asciugò la fronte e le baciò la tempia con tenerezza.
Le parlò in russo, così che solo lei potesse capire, e le sussurrò: — Stai andando benissimo. Sei incredibile, Vivian.— E prese possesso della sua bocca. — Solnyško. — La baciò di nuovo. — Ci siamo quasi. Sono così orgoglioso di te.
Lei distolse l’attenzione dal muro dall’altra parte della stanza, e sostenne lo sguardo di Nikolai per poi annuire. Lui si spostò fino a sistemarsi dietro di lei, poi si sedette sulla morbida palla da parto. Le mise le braccia sotto le sue, la sollevò, dandole il supporto di cui aveva bisogno per accovacciarsi senza affaticare le gambe. Le contrazioni ora arrivavano una di seguito all’altra, e Vivian sembrava dare più voce al suo dolore.
Di tanto in tanto, notava gli sguardi strani del personale dell’ospedale. Non li biasimava per il loro stupore. Gli uomini come lui non erano certo noti per essere gentili o pazienti. Con le maniche arrotolate fino ai gomiti e i tatuaggi della mafia in bella mostra, aveva molto più l’aria di un carcerato che non quella di un partner amorevole che sosteneva la propria moglie durante il primo parto.
Quando l’ostetrica si inginocchiò per controllarla dopo che Vivian ebbe superato una serie di contrazioni difficili, parve sorpresa. — Oh! Sei più due!
Cosa diavolo significa?
— Va bene, tesoro, — disse l’ostetrica, — se vuoi partorire qui, va bene. Ma se pensi di voler stare a letto, è ora di muoverti adesso. — Accarezzò di nuovo il ginocchio di Vivian. — Il bambino sta arrivando.
Sta arrivando? Ora?
— Letto, — grugnì Vivian. — Le gambe mi fanno troppo male.
Nikolai non attese nemmeno che l’ostetrica si alzasse. In un attimo, si mise in piedi e prese Vivian tra le braccia. La depose sul letto con delicatezza e le accarezzò i capelli mentre il personale si muoveva frenetico intorno a loro. Kiki si spostò dall’altra parte del letto e parlò a bassa voce con l’ostetrica riguardo a ciò che Vivian avrebbe voluto evitare.
Vivian si voltò e gli afferrò il lembo della camicia. — Oh mio Dio, Nikolai. — Adesso poteva percepire la paura nella sua voce. Una lacrima le scese dall’angolo dell’occhio sinistro. — Fa così male. Letteralmente non posso… Ah! — Chiuse gli occhi e pianse disperata. — Bljat
Quell’imprecazione volgare da parte di sua moglie da sola bastò a fargli capire quanto fosse forte il dolore. Il senso di colpa lo scalfiva, ma lui si concentrò su di lei. — Solnyško, puoi farcela. Sei quasi al termine. Manca poco.
— Oh Dio, Nikolai! — disse lei quasi in preda al panico. — So di aver detto che volevo tipo cinque bambini con te, ma forse uno potrebbe bastare.
— Sladost. — Le mise una ciocca di capelli umidi dietro l’orecchio e con il pollice le accarezzò il labbro inferiore. — Uno è un numero perfetto.
— Bene. — Sbatté le palpebre stordita e poi fece una smorfia. Si alzò sui palmi, emise un ringhio selvaggio che lo turbò. — Oh Dio. Penso che sia ora!
L’ostetrica fu in un attimo ai piedi del letto per controllare. — Oh, tesoro, è decisamente ora. — Disse a una delle infermiere di portare lì la ginecologa, ma Nikolai non era sicuro che la dottoressa sarebbe arrivata in tempo. — Devi trattenere il respiro e spingere forte.
Il letto venne rapidamente smontato e trasformato. Le infermiere allestirono l’area in vista dell’imminente arrivo del bambino. Un’equipe medica giunse nella sala travaglio pronta a intervenire se qualcosa non avesse funzionato.
— Papà? — L’ostetrica si rivolse a lui con un sorriso. — Prendi il piede della futura mamma in questa mano e appoggiale l’altra sulla nuca. Kiki? — Sembrava avere confidenza con la loro doula, che non esitò a prendere l’altro piede di Vivian.
Raggomitolata su se stessa, Vivian trasudava tutta la forza di una donna mentre affrontava il momento più difficile del processo. Nei recessi della sua mente, sapeva che la fase delle spinte avrebbe potuto richiedere ore in alcuni casi, ma a giudicare dalle reazioni dell’ostetrica e della doula, Vivian sembrava sul punto di battere ogni record. Apparentemente consumata dal suo bisogno di dare alla luce il loro figlio, sua moglie fissava un punto sul soffitto e prendeva respiri lenti e profondi prima di ogni contrazione.
Dopo quattro spinte, all’improvviso l’ostetrica la esortò a respirare e smettere di spingere. Nikolai tenne gli occhi concentrati sul viso di Vivian. A un certo punto, sopraffatta dal dolore, sua moglie parve perdere la concentrazione e lo guardò con l’espressione distorta dalla sofferenza. Con una smorfia, lei gli afferrò la camicia e il braccio e pianse. Il sudore le colava lungo l’attaccatura dei capelli e inzuppava la parte superiore del vestito. Le lacrime le rigavano il volto.
— Alla prossima contrazione spingi forte, Vivian, — la esortò l’ostetrica. — Il tuo bambino è pronto per nascere.
— Respira attraverso il dolore, — la istruì Kiki. — Abbraccialo. Fallo tuo.
Vivian inspirò profondamente e iniziò a spingere. Spinse con un grido che aveva un che di primordiale mentre il loro bambino veniva gentilmente accolto nel mondo grazie alle abili mani dell’ostetrica.
Quando Lev venne appoggiato sul petto di Vivian, Nikolai era stordito. Era successo tutto così in fretta che quasi non credeva fosse reale. Vivian singhiozzava mentre toccava con cautela il loro piccolo bambino. Sua moglie accarezzò la testolina capelluta del piccolo con mani tremanti.
Un’infermiera giunse per coprirlo con un telo. Quel gesto fu tutto quello di cui ebbe bisogno. Come un piccolo leone, il neonato emise un ruggito poderoso, schiarendosi i polmoni e la gola, facendosi tutto rosso mentre agitava un pugnetto in aria e si contorceva in cerca del conforto e del calore di sua madre.
Ignara del dolore, Vivian strinse forte il figlio e rivolse gli occhi pieni di lacrime a Nikolai. Con la voce carica di emozione, disse: — Kolya.
— Solnyško. — Nikolai si chinò per baciare la moglie. Distrutto dall’esperienza di assistere alla nascita del loro primogenito, con una mano si tenne alla testata del letto, con l’altra afferrò la manina del piccolo, le dita che gli tremavano. Ricordando ciò che gli aveva detto Romero, premette la fronte su quella di Vivian e sussurrò: — Guarda cosa abbiamo fatto.
— È perfetto, vero?
— È assolutamente perfetto, — concordò Nikolai.
In qualche modo riuscì anche a trovare il coraggio di tagliare il cordone ombelicale. Le due ore successive trascorsero in un turbine di attività confusa. Accompagnò Lev per il bagnetto, ma solo dopo essersi assicurato che Vivian stesse bene senza di lui. La paranoia che qualcuno potesse tentare di fare del male a suo figlio non lo mollava mai. Rimase ad assistere mentre il personale pesava, lavava e vestiva Lev.
Quando il piccolo fu pronto per tornare nella suite post-parto di Vivian, lei aveva già fatto la doccia e si era cambiata. In quel momento era a letto che mangiava. Non appena ebbe finito, l’infermiera, che fungeva anche da consulente per l’allattamento, supportò Kiki nell’istruire Vivian sulla corretta posizione del bambino al seno.
Nikolai era in piedi accanto al letto e guardava con un misto di stupore e meraviglia mentre sua moglie padroneggiava quella nuova abilità. Ascoltò tutti i consigli della consulente e della doula, ma a un certo punto cominciò a sentirsi nervoso, come se stesse smaltendo gli effetti di una droga. Lentamente si accorse dei suoni che provenivano dalla loro borsa dell’ospedale. Aprì la cerniera della tasca laterale e si rese conto che i loro amici stavano facendo impazzire i telefoni cellulari con messaggi e telefonate.
Per rispondere a tutti i messaggi ci sarebbe voluta un’eternità, così decise di inviare prima la notizia a Yuri e Lena, principalmente perché Yuri aveva accettato di essere il padrino di Lev, mentre Lena, in qualità di regina dei social network, si sarebbe assicurata che tutti venissero a conoscenza della nascita.
È nato Lev, Pesa 3,3 kg. Vee è stata fantastica. Adesso sta riposando.
Un bussare alla porta lo spinse a distogliere l’attenzione dal telefono. Lo ripose in tasca mentre un’infermiera entrava nella stanza con in mano un sacchetto di carta che gli era molto familiare. — Un suo amico ha lasciato questo all’accettazione. Non voleva disturbarla, ma ha detto di volersi assicurare che lei avesse un pasto decente per stasera.
— Grazie. — Nikolai prese dall’infermiera la sporta con il logo della panetteria Marquez. Quando Sophia era nata, l’anno precedente, Nikolai aveva mandato a Dimitri un pranzo caldo dal Samovar. E ora il suo amico sembrava aver voluto ricambiare il favore.
Mentre Vivian allattava Lev, lui si sedette in un angolo della stanza a godersi il burrito e i pasticcini messicani offerti da Benny. Come pasto serale era decisamente azzeccato. Quando rovistò nel sacchetto alla ricerca di un tovagliolo, individuò il biglietto scritto all’interno. La calligrafia di Kostya era abbastanza facile da riconoscere.
L’ospedale è sotto sorveglianza. I nostri amici sono in reparto e al piano terra.
Nikolai non era minimamente sorpreso che Kostya si fosse già organizzato per controllare gli accessi alla loro stanza. Ormai il ruolo del pulitore andava oltre a quello del semplice braccio destro, e lo si poteva definire un secondo in comando. Nikolai si chiedeva sempre più spesso se non fosse il momento di dare una scossa all’organizzazione…
Poco dopo, l’infermiera se ne andò insieme a Kiki, ma non prima di averlo stretto in un forte abbraccio. La doula lo colse alla sprovvista e lo strinse tra le braccia prima che lui potesse evitarlo. Nikolai si limitò a darle una pacca sulla schiena con fare goffo e la ringraziò mentre Vivian sorrideva dal letto di fronte a quella scena.
Rimasto solo con sua moglie e suo figlio, Nikolai si sedette sul letto e sistemò delicatamente la cuffietta che teneva calda la testa del bambino. Rannicchiato contro il seno di Vivian, Lev sembrava contento del suo cuscino imbottito. — È molto tranquillo.
— È un dormiglione come la sua mamma, — sussurrò Vivian con le palpebre pesanti.
— Lascia che lo prenda io.— Nikolai rimase in attesa per vedere se si sarebbe opposta alla sua offerta di prenderle il bambino. Il suo istinto materno di proteggere il figlio era già scattato, e sembrava tenerlo in braccio con fare possessivo. Era una reazione naturale, pensò, soprattutto dopo l’esperienza che aveva appena vissuto.
— Certo. — Alla fine lasciò volentieri che lui prendesse il piccolo tra le braccia. Nikolai sostenne con cura la testa di Lev e lo cullò contro il proprio petto mentre Vivian sistemava le copertine con cui il piccolo era stato avvolto. Si lasciò cadere all’indietro sul cuscino e gli sorrise. I suoi occhi brillavano di amore e calore. — Stai bene con lui in braccio.
Nikolai deglutì a fatica. Fissò il figlio con la gola serrata. L’inchiostro scuro che gli ricopriva la pelle delle braccia spiccava quasi con durezza crudele se paragonato all’innocenza angelica del dolce visino di Lev. Si sentiva vulnerabile ma coraggioso, così ammise: — È bello abbracciarlo finalmente.
Vivian gli toccò il braccio. ― Ti amo così tanto. Non ce l’avrei fatta senza di te.
— Sì invece, ci saresti riuscita. Perché sei la persona più forte che conosca, Vee. — Strinse a sé Lev, per poi chinarsi e catturarle la bocca in un bacio che avrebbe voluto non finisse mai. — “Ti amo” non si avvicina nemmeno a quello che provo in questo momento.
— È abbastanza, — lo rassicurò. — È più che sufficiente.
Nikolai aspettò che Vivian si addormentasse prima di alzarsi con cautela. Si sedette sulla sedia a dondolo vicino al letto e iniziò a oscillare lentamente. Durante la gravidanza della moglie, non era mai riuscito a immaginare un momento come quello. Un padre e il suo bambino su una sedia a dondolo? Non era proprio il suo genere.
Eppure eccolo lì, a cullare e coccolare la cosa più piccola e meravigliosa che avesse mai visto. Perso nella contemplazione del futuro di suo figlio, Nikolai si meravigliò del suo bambino. Il naso, le orecchie, gli occhi e la bocca… c’era così tanto di familiare in Lev.
In quella stanza d’ospedale tranquilla e poco illuminata, Nikolai era consumato dai pensieri riguardo ai propri genitori. Cosa aveva provato sua madre, un’adolescente giovane e vulnerabile, nell’affrontare una gravidanza e un parto da sola? Maksim si era presentato in ospedale? Lo aveva tenuto in braccio una volta nato? Cosa aveva immaginato sua madre per lui? Sapeva che un giorno sarebbe diventato un potente e temuto boss mafioso? O aveva sognato per lui un futuro come medico o avvocato?
Lev iniziò ad agitarsi e Vivian si svegliò all’istante. Nikolai non era sicuro di cosa avesse bisogno, ma divenne chiaro che Lev voleva semplicemente essere messo al seno della mamma. Restituì il bambino a Vivian e si sedette ai piedi del letto mentre lei, assonnata, si attaccava al seno il figlio e cercava di farlo nel modo giusto. Quando non funzionò, lui si avvicinò con cautela per aiutarla. Vivian gli rivolse un sorriso di gratitudine e al tempo stesso velato di imbarazzo, mentre scoprivano insieme come allattare il piccolo.
Un’infermiera sbirciò dentro la stanza e chiese piano il permesso di entrare per controllare Vivian. Lui cercò di non ronzarle troppo intorno mentre la donna si assicurava che la pressione sanguigna di sua moglie si fosse normalizzata e che non avesse la febbre. Quando ebbe finito, l’infermiera si ritirò in silenzio.
Nikolai aspettò che Lev si addormentasse di nuovo prima di prenderlo dalle braccia di Vivian, che si appisolò pochi secondi dopo avergli passato il bambino. Si sentiva pieno di energia e molto protettivo mentre si accomodava nuovamente sulla sedia a dondolo per cullare il piccolo. La sua mente era già concentrata su tutte le nuove e meravigliose esperienze che lo aspettavano, ma anche le profonde preoccupazioni che il piccolo gli avrebbe procurato.
Quando i primi raggi di sole dalle tonalità arancioni e rosa tinsero il cielo, Nikolai si alzò dalla sedia e si diresse alle finestre con vista sulla città. Al sorgere del sole chiuse gli occhi e lasciò che il calore dei raggi che penetravano nel vetro lo inondasse per riscaldarsi. In basso, la città brulicava piena di vita.
Sfiorò la testa di suo figlio con le labbra e mormorò in russo: — La vedi questa città? Houston? È la nostra città.
Fino a quel giorno, non aveva veramente capito le implicazioni dell’avere un figlio. Maksim e Luka lo avevano definito il suo erede, ma Nikolai non ne aveva mai compreso la portata. Non gli sembrava la giusta definizione… fino a quel momento.
— Un giorno tutto questo sarà tuo. — Nikolai giurò in quell’istante che avrebbe continuato a portare avanti affari legittimi e un predominio che suo figlio, o forse i suoi figli… avrebbero potuto ereditare. — Tutto quello che faccio è per te e tua madre. — Ingoiò il groppo in gola.— Sei il bambino più fortunato del mondo ad avere la mamma che hai. Un giorno capirai quanto è meravigliosa, quanto è bella, forte e brillante. Un giorno rimarrai stupito come lo sono rimasto io.
Lev aprì gli occhi per poi sbattere le palpebre lentamente, mentre Nikolai gli parlava in russo. Suo figlio non riusciva a capire una parola di quello che diceva, ma Nikolai non si lasciò scoraggiare.
— Non sono un brav’uomo. Ho fatto tanti errori. Ma sarò un buon padre per te. Sarò un buon padre e un buon marito, e ti farò sempre sentire amato. — Sentiva gli occhi che pizzicavano e sbatté rapidamente le palpebre per schiarirsi la vista. Giurò sulla propria vita che suo figlio non avrebbe mai conosciuto la fame, il dolore, i traumi e gli abusi che avevano rovinato la sua infanzia. — Tu e tua madre siete la ragione per cui vivo.
Lev era riuscito a liberare un braccio dall’involucro di coperte e aveva battuto un pugnetto contro il dito di Nikolai. Poi, quando arrivò ad afferrargli il dito, il cuore dell’uomo quasi gli esplose nel petto. Venne sopraffatto dall’amore che provava per il figlio. Una lacrima gli scivolò lungo la guancia, ma lui non l’asciugò. Per uno di quei rari momenti, si concesse di provare tutto.
Perché, mentre teneva in braccio Lev e guardava la brillante alba invernale, si sentiva come se avesse varcato la soglia di un nuovo mondo.
E un nuovo inizio.
FINE
Il racconto è protetto da copyright ed è stato tradotto e pubblicato dietro l’espressa autorizzazione di Roxie Rivera.
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