Caffè Florian
di Eleonora Morrea
Elettra si stava dirigendo a piedi verso Piazza San Marco senza degnare di uno sguardo l’ambiente che la circondava. Non le importava nulla dell’atmosfera decadente e sofisticata di Venezia, né delle maschere sontuose che si aggiravano silenziose fra le calli. Non aveva mai detestato quella città come in quel momento e quando mezz’ora dopo giunse a destinazione, avrebbe voluto gridare a voce alta tutto il suo disprezzo.
Non voltò la testa nemmeno per buttare un occhio a quella che era considerata una delle piazze più famose al mondo. Sapeva già cosa avrebbe visto: da una parte la Basilica di San Marco che dall’ingresso vomitava orde di turisti in coda, dall’altra, il palco allestito per la sfilata delle maschere di Carnevale. Al centro, una fiumana vociante fatta di costumi colorati, bambini sghignazzanti e visitatori ammaliati e intenti a scattare decine di foto.
La sua meta per fortuna era a pochi passi: il Caffè Florian, il più antico caffè italiano, anch’esso corredato dell’immancabile coda all’ingresso.
Mentre si avvicinava, capì che non avrebbe atteso molto per entrare. Un uomo in giacca e cravatta era in piedi appoggiato a una colonna e stava evidentemente aspettando qualcuno.
Lei.
Lo raggiunse stizzita e gli si parò dinnanzi. ― Sono qui, Andrea. Vogliamo entrare?― Era la conversazione più civile che riusciva a mettere in piedi quel giorno, nonostante si rendesse conto che lui stava solo facendo il suo lavoro.
L’uomo però non fece una piega e le porse la mano, salutandola con cortesia. ― Buongiorno Elettra, è sempre un piacere rivederla.
Lei guardò quella mano virile tesa e con un sospiro si rassegnò al saluto di rito. Fu una stretta energica e vigorosa. Poi, senza dire una parola, entrambi si voltarono per entrare nel locale, facendosi largo tra la folla. La coda di fronte al Caffè si aprì come una cerniera al passaggio di Andrea, ma Elettra non se ne stupì: la sua imponenza irradiava soggezione, mentre un suo sguardo era più eloquente di mille parole.
Una volta dentro, il maître in costume li accompagnò in una saletta riservata. Nemmeno la profusione del rosso e dell’oro degli arredamenti riusciva a risollevare lo spirito di Elettra. Percorsero fino in fondo uno stretto corridoio e una volta entrati nella sala, la porta si chiuse con delicatezza alle loro spalle.
Lui era seduto di fronte a un tavolinetto tondo. Aveva raccolto i capelli bianchi in una coda bassa e si era fatto crescere il pizzetto. Come Andrea accanto a lei, era vestito rigorosamente in giacca e cravatta e la stava guardando con un misto di affetto e stupore.
La rabbia di Elettra divenne incontenibile. ― Dovevi per forza occupare una saletta intera del Florian? ― lo aggredì senza mezzi termini. ― A me andava benissimo un Autogrill, tanto per quello che ho da dirti.― E incrociò le braccia al petto.
― Siediti, Elettra. Cosa posso offrirti? ― chiese lui con tono di voce soave.
― Non voglio niente da te, Alain.― Calcò appositamente la voce sul suo nome con l’intento di ferirlo, poi afferrò una sedia per sedersi a debita distanza. ― Ti concedo cinque minuti del mio tempo.
Lo vide fare un cenno con la testa ad Andrea, che lasciò la stanza senza proferire parola. Un silenzio pesante calò nella sala, rotto solamente dal vociare delle persone in piazza.
― Ti sono rimasti quattro minuti ― lo informò lei implacabile.
― Elettra, per favore, smetti di fare la bambina.
Lei alzò gli occhi al cielo. Il fatto era che voleva davvero fare la bambina, per illudersi di poter tornare indietro nel tempo e riprendersi tutto quello che aveva perso, o meglio, che le era stato portato via.
― Perché mi hai fatto venire qui? ― chiese stancamente. ― Ci siamo già detti tutto.
Alain si alzò con un sospiro e in pochi passi le fu vicino. Elettra si rifiutava di guardarlo negli occhi, e quando sentì la sua mano sfiorarle una guancia, si trattenne a stento dall’allontanare il volto.
― Non posso fare più niente per cambiare il passato, anche se mi piacerebbe raccontarti la mia versione dei fatti. Posso però recuperare. Qui, ora. ― Il tono dell’uomo era pacato, quasi dolce. Elettra lo detestava, avrebbe preferito fiumi di rabbia e arroganza. Davanti a tanta ragionevolezza si sentiva spaesata.
― Non è così facile come credi. Non puoi ricomparire dopo venticinque anni e pretendere che non sia successo niente. Ti odio. ― Le parole di Elettra trasudavano rabbia e disprezzo. Ancora si rifiutava di guardarlo in faccia.
― Ciò non toglie che io rimanga comunque tuo padre. E sicuramente ho commesso tanti errori nella mia vita, fra cui quello di aver abbandonato tua madre quando aveva più bisogno di me. Ora che ti ho ritrovata però, ti chiedo solo una possibilità.
― Pensi di riconquistarmi con i tuoi miliardi? Non li voglio i tuoi soldi, non voglio i tuoi regali costosi. Da te non voglio nulla. E non ti chiamerò mai papà. ― Ormai era un disco rotto. Quante volte aveva ripetuto quelle parole?
All’improvviso si ritrovò il suo volto davanti agli occhi. Alain si era accovacciato per poter incontrare il suo sguardo.
― Sai benissimo che i soldi non c’entrano nulla ― le disse con voce strozzata.
― Ho cambiato idea, ti concedo tre minuti…che sono già passati. Addio. ― E con queste parole fuggì letteralmente dalla stanza.
Mentre guadagnava l’uscita del Caffè, si sentiva addosso gli occhi di Andrea fermo al bancone del bar. Elettra sapeva che la guardia del corpo non avrebbe mosso un dito senza ricevere un input da Alain.
Una volta fuori, corse in mezzo alla piazza e lì si fermò, respirando a pieni polmoni. Finalmente si decise a guardarsi intorno: un mulinello colorato di costumi e voci le girava intorno.
Il suo sguardo si posò su una bambina vestita da cappuccetto rosso che teneva stretta la mano di quello che presumibilmente doveva essere il padre, avvolto da un elegante cappotto grigio. A un certo punto la piccola si fermò e sollevò le braccia nell’inequivocabile preghiera di farsi prendere in braccio, una richiesta che l’uomo esaudì con un sorriso. Come ipnotizzata, Elettra vide la bambina appoggiare la testa sulle spalle dell’uomo e stringerlo forte. L’uomo a sua volta aveva appoggiato una mano grande e forte sulla testolina bionda della bambina.
Elettra li osservò finché non vennero ingoiati dalla folla chiassosa. Seguendo un impulso irrefrenabile si girò e corse verso il Florian. Spintonò la gente in coda fino alla porta d’ingresso, dove trovò Andrea che le stava aprendo la porta con una strana luce negli occhi. ― Elettra… è sempre un piacere rivederla. Suo padre la sta aspettando. Le faccio strada.
FINE
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